Terapia dello specchio
L’utilizzo nei disturbi del comportamento alimentare della tecnica della terapia dello specchio prende spunto dall’ipotesi che la preoccupazione per il peso e le forme corporee si ponga ad un livello mentale non sempre accessibile e modificabile dalle tecniche di ristrutturazione cognitiva verbale.
Nei pazienti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare la difficoltà a tollerare i livelli di ansia e giudizio negativo nell’esposizione del proprio corpo allo specchio è molto elevata e costituisce motivo di forte sofferenza. Contemporaneamente, come in una sorta di compulsione incontrollabile, i pazienti cercano, specchiandosi in continuazione, una conferma dall’immagine riflessa, conferma sempre negativa e dolorosa.
E’ per questo motivo che in Residenza non vi sono né bilance né specchi, per supportare sin dall’ingresso una desensibilizzazione rispetto alla propria immagine.
Da qui nasce l’idea di introdurre nel programma riabilitativo terapeutico residenziale tale tecnica che sviluppa la capacità dei pazienti di esporsi senza giudizio.
La Terapia dello Specchio viene introdotta dopo un mese dall’ingresso in Residenza, superata cioè quella fase di ansia collegata all’inserimento in Residenza e dopo che si è ridotta sensibilmente la dispercezione corporea.
Tale terapia non può essere applicata a tutte le pazienti ma è necessaria una attenta selezione che escluda vissuti di depersonalizzazione, dismorfofobie, bambine in età prepubere, gravi dispercezioni.
La procedura prevede sette sedute individuali condotte in sette settimane. Durante la seduta, che dura circa circa 30 minuti, il paziente è in piedi di fronte ad uno specchio a tre ante, che consente quindi al paziente una visione globale, accanto a lui un terapeuta, che conduce la seduta. Gli viene richiesto di descrivere in modo sistematico il suo corpo senza essere giudicante.
Nel primo incontro il paziente è completamente coperto dagli indumenti, ma progressivamente gli viene richiesto di mostrare parti sempre più estese del suo corpo, fino all’ultima seduta dove rimane solo con gli indumenti intimi. Dobbiamo tenere conto che i pazienti provengono quasi sempre da lunghi periodi di ritiro sociale, dove l’esposizione del corpo è fonte di grossa ansia, particolarmente alcune parti che costituiscono vere e proprie zone fobiche su cui si localizza l’ossessione (fianchi, pancia, natiche).
Nel primo incontro, all’apertura dello specchio, molto spesso il paziente esprime un vissuto di estraneità, come se non si riconoscesse, in genere è molto agitato, a volte anche confuso, utilizza aggettivi estremamente negativi nella descrizione del proprio corpo, che rivede per la prima volta dopo un periodo di permanenza dentro la struttura, che comunque ha modificato le forme corporee.
Nella seconda e terza seduta inizia a familiarizzare maggiormente con lo specchio, con la sua immagine e con il suo corpo, è oramai autonomo nelle descrizioni, localizza bene le parti da descrivere e l’ansia è diminuita.
Nella sedute successive l’esposizione è effettuata con indumenti che espongono sempre di più il paziente mano a mano che l’ansia diminuisce. Queste sedute sono di enorme impatto emotivo per i pazienti, spesso piangono, a volte è necessario interrompere l’incontro e il ruolo del terapeuta diventa centrale nel cogliere il momento di rallentare o di procedere nel lavoro.